Post 1797. Servizi demografici

Tipologia Fondo
Data cronica
1806-1950

Numerazione

N. definitivo
7
Prefisso
2

Contenuto

Anagrafe è la «descrizione di tutti gli abitanti ordinarii di un paese, di un comune, di una città e di un regno»[1].
Atti dello stato civile «sono quelli destinati a provare la nascita, il matrimonio e la morte. Essi sono documenti pubblici, sempreché i registri relativi siano tenuti nelle forme prescritte»[2].
 
Il Codice civile napoleonico, promulgato nel Regno d’Italia il 6 gennaio 1806, prevedeva l’attivazione presso i comuni di registri di stato civile, perché nascite, morti e matrimoni fossero documentati[3]. In data 27 marzo 1806, venne promulgato il Regolamento dello stato civile, che incaricava l’ufficiale dello stato civile della formazione di atti di nascita e di morte, di matrimonio e di divorzio, delle pubblicazioni di matrimonio.
L’attivazione dello stato civile del Tagliamento venne stabilita dalla circolare-decreto prefettizia di Treviso n. 6247, il 25 settembre 1806, con valore retroattivo al 1° settembre.
Nel Regno lombardo-veneto, con l’amministrazione austriaca, l’ufficio cessò[4] e la compilazione dei registri di stato civile tornò ad essere compito dei parroci.
Con l’entrata in vigore della legge 15 novembre 1865, n. 2602, i Comuni ricominciavano a tenere i registri di stato civile e il Sindaco fu riconosciuto ufficiale di stato civile[5]; il servizio venne regolato dal capo XII del Codice civile del Regno d’Italia.
Un nuovo ordinamento degli uffici di stato civile venne disposto con il R.D. 9 luglio 1939, n.1238, che descriveva anche come tenere i registri, che dovevano essere conformi su tutto il territorio nazionale[6].
 
Il primo provvedimento unitario per l’istituzione del servizio anagrafico risale al 1864: secondo il R.D. 31 dicembre 1864, n. 2105, art. 6 il nuovo ufficio doveva chiamarsi Ufficio delle Anagrafi e istituire il registro di popolazione in ogni Comune del Regno a partire dai dati rilevati dal censimento della popolazione del 31 dicembre 1861, «corretto e completato in ciascun comune secondo le variazioni avvenute nello stato delle persone ed in quello della popolazione fino al 1 gennaio 1865 e tenuto conto delle sole persone aventi in esso domicilio legale o residenza stabile» (art. 3).
Molti Comuni non si uniformarono alle prescrizioni del decreto ed altri, pur avendo impostato il servizio, non si attennero all’osservanza delle norme sull’aggiornamento, fosse solo perché le anagrafi non erano state istituite con legge formale o fonte equivalente.
In occasione del secondo censimento generale della popolazione, furono quindi inseriti nella legge 20 giugno 1871, n. 297, due articoli sulla tenuta del registro di popolazione. L’art. 7 stabiliva che in ogni Comune vi fosse un registro della popolazione, compilato – corretto, dove già esistesse – secondo i risultati ottenuti col nuovo censimento e aggiornato negli anni successivi, secondo il riassunto della popolazione totale compilato al termine di ogni anno. L’art. 8 disponeva che i cambiamenti di domicilio e di residenza da un Comune ad un altro e di abitazione nell’interno di uno stesso Comune, dovessero essere notificati agli uffici comunali secondo le forme ed entro i termini stabiliti dal regolamento.
Successivamente con il R.D. 28 gennaio 1872, n. 666, si ribadiva l’obbligo di denunciare i cambiamenti di abitazione e i cambiamenti di residenza, il che prova che ancora non tutti i Comuni provvedevano ad assicurare la regolare tenuta del registro di popolazione.
La Giunta centrale di statistica nella seduta del 23 aprile 1872 discuteva ancora le modificazioni più opportune da introdursi nel regolamento del 1864 sulla tenuta del registro di popolazione, allo scopo di renderne obbligatoria l’attuazione in tutti i Comuni dello Stato.
Si arrivò quindi al nuovo regolamento del 1873, n. 1363, il quale all’art. 1 disponeva che in ogni Comune del Regno si tenesse il registro della popolazione; che, dove non esistesse, venisse impiantato entro sei mesi dalla pubblicazione del regolamento; che dove già fosse in atto, fosse completato e corretto nel medesimo periodo di tempo. Questo nuovo regolamento prevedeva che il registro di popolazione fosse impostato su tre elementi costitutivi: i fogli di casa, i fogli di famiglia e i fogli individuali. I fogli di casa riguardavano ciascuna costruzione avesse un numero civico, al loro interno erano conservati i fogli di famiglia, seguiti dai fogli individuali, intestati ai singoli cittadini. Il regolamento prevedeva anche l’istituzione di un registro di popolazione mutabile, per i residenti nel Comune per motivi contingenti (bambini a balia, ospiti istituzioni assistenziali, militari). La tenuta di tale registro fu abolita dal regolamento del 1901[7] che, pur mantenendoli, semplificò la compilazione dei fogli componenti il registro.
 
Altro regolamento fu quello del 1929[8], che non portò modificazioni sostanziali, ma introdusse una duplice possibilità di ordinamento: per numero progressivo o per ordine alfabetico di vie e piazze di residenza. I comuni che avessero adottato la seconda soluzione dovevano istituire per ogni fabbricato una cartella di casa in cui conservare i fogli delle famiglie alloggiate.

La documentazione prodotta a Castelfranco nello svolgimento dei servizi demografici[9], costituiva una delle parti più disordinate ed in cattivo stato di conservazione dell’archivio: atti di nascita e di morte, fascicoli mensili di immigrazioni e emigrazioni si trovavano distribuiti in buste relative ad altre serie; i registri delle levatrici arrotolati o accartocciati; la corrispondenza ammucchiata senza evidenti criteri di classificazione o cronologici; stesse tipologie documentarie - quali ad esempio le tabelle per le rilevazioni statistiche - conservate assieme a fascicoli talvolta d’una, talvolta di un’altra serie. Alcune buste con intestazione «Pratiche immigrati-emigrati, nascite-morti, Stato civile Anagrafe» [10] lasciano intendere che la gestione del servizio di stato civile non fosse sempre nettamente distinta da quello dell’anagrafe, per lo meno nel momento della sedimentazione delle carte.
Si è deciso dunque di descrivere la documentazione, ricostruendo una struttura logica, corrispondente alle funzioni che i due uffici dovevano svolgere, per garantire i servizi demografici.


[1] Cfr. Guazzo, cit., I, p. 264, s.v. Anagrafe.

[2] Cfr. Guazzo, cit., I, p. 685, s.v. Atti dello stato civile.

[3] La registrazione di nascite, morti e matrimoni, a partire dal Concilio di Trento (1545-1563) era stata prerogativa dei parroci.

[4] Cfr. patente sovrana 20 aprile 1815, pubblicata il 10 giugno 1815, avente effetto dal 1° gennaio 1816.

[5] La legge 15 novembre 1865, n. 2602, che disciplina lo stato civile italiano è estesa alle province venete con R.D. 2 dicembre 1866, n. 3352 (art. 103).

[6] Per una sintesi in merito alla normativa precedente si veda Stato civile (voce), in Nuovo Digesto Italiano, XII, t. 1, pp. 841-852.

[7] R.D. 21 settembre 1901, n. 445.

[8] R.D. 2 dicembre 1929, n.2132.

[9] Dal 1940 sulle buste compare l’intitolazione «Servizi demografici».

[10] Anni 1927, 1929, 1932.

Consistenza rilevata

Consistenza (testo libero)
190 bb., 227 regg.